
- Come nasce la passione per il pugilato?
“Sin da ragazzo ho avuto la passione per il pugilato: feci il mio primo incontro alle feste del Primo Maggio del mio paese in Puglia e lo vinsi. Ero piccolo, avevo nove o dieci anni, era la fine degli anni ’40.
Mi trasferii al nord nel 1952 e continuai a praticare il pugilato facendo tanti incontri in varie città della Lombardia. Da dilettante ho disputato oltre 70 incontri, fra cui quello contro il futuro campione del mondo nei professionisti Sandro Lopopolo perdendo ai punti. Nel 1966 sono passato professionista, disputando cinque incontri (quattro vinti ed uno perso). Quando mi sono sposato ho abbandonato lo sport, sono andato in Sicilia dove non c’erano i mezzi all’epoca per poter continuare”.
- Perché all’epoca un ragazzo si avvicinava alla boxe e perché invece dovrebbe farlo oggi?
“Quando ero giovane il clima nelle palestre era completamente diverso, c’erano solo i guantoni e le scarpe di pezza, tanta povertà ma voglia di boxare nei ragazzi: dopo la guerra nascevano così dei veri campioni proprio nelle palestre. C’era più sportività allora, si combatteva poco, solo alle feste ad esempio, ma si poteva parlare di vero professionismo. L’emigrazione poi ha chiuso un ciclo al sud, si è ricominciato a nord dove le palestre erano piene di meridionali. Io a Milano ero nell’ATM: lì si allenavano prima i professionisti e poi noi dilettanti. Ho fatto i guanti con Duilio Loi, futuro campione del mondo. Era naturale che un giovane si avvicinasse alla boxe perché era lo sport dei poveri. Penso che in Italia oggi la scena pugilistica sia un po’ povera: circolano forse troppi soldi. All’epoca il pugilato era pulito: un Campione d’Italia difendeva il suo titolo sette, otto o anche dieci volte, oggi il titolo passa da uno all’altro. C’era più umiltà prima e si insegnava soprattutto il rispetto, ora secondo me c’è troppa aggressività, poca tecnica e più forza”.
- Negli anni ’80 e ’90 c’è stata una scena pugilistica italiana che è arrivata a dominare anche a livello mondiale, come lo fu ai bei tempi. Oggi manca un vero campione: perché a tuo giudizio succede questo?
“Oggi non nascono perché in genere partono molto forte, ma finiscono altrettanto rapidamente. Manca il sudare nelle palestre: si guarda al guadagno. I mezzi a disposizione sono maggiori, con gli attrezzi e tutte le tecnologie moderne, ai miei tempi c’erano soltanto il sacco ed i guantoni, si faceva tutto a corpo libero.
Si insegnava di più il rispetto per l’avversario ai ragazzi, ma si faceva in modo che apprendessero al meglio anche le tecniche: oggi forse si mandano troppo allo sbaraglio e non è un criterio giusto per me”.
Piero Vittoria
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